San Lucano Vescovo
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IL SANTO PROTETTORE : S. LUCANO
Sabiona è una località sopra Chiusa d'Isarco, in provincia di Roteano, prima del Mille era sede vescovile, sede che nel 994 venne trasferita a Bressanone. Lassù, verso il 400 ci. C. giunse Lucano, vescovo di Sabiona.
Il nome Lucano deriva dall'antico latino «lucare» che significa splendere. Dal verbo cavò poi l'aggettivo «antelucanus», che Dante italianizzò chiamando l'albore dell'aurora «splendore antelucano».
Anche il significato del nome sta bene per ogni verso. Lucano è «colui che porta la luce o ha la luce con sé». Nome fatidico, ricco di promesse e di presagi per la missione che il nostro Santo doveva compiere portando la prima luce del Vangelo in mezzo a popoli che ancora sedevano nelle tenebre dell'errore e dell'idolatria.
Il DIGIUNO QUARESIMALE
I Vescovi entrando in un paese nuovo con lo scopo di evangelizzarlo, non si limitava no alle verità della fede insegnandole solamente, ma richiedevano dai fedeli che le mettessero in opera praticando la legge di Cristo e osservando le obbligazioni che avevano contratto entrando nel grembo della Madre Chiesa. «Una delle più importanti era quella del digiuno quaresimale. Non v'è dubbio che, al tempo di S. Lucano, la quaresima venisse scrupolosamente osservata in tutto l'oriente e in tutta l'Italia, incominciando da Roma. Il digiuno quaresimale non si poteva rompere prima del calare del sole. Esso consisteva in pane, erbe condite, frutta e altri prodotti dei campi e degli alberi. La carne, le nova, i latticini erano severamente proibiti.
Attorno al 1200 le alte valli Tridentine furono colpite da una spaventevole carestia, causata, a detta della tradizione, da una lunga e ostinata siccità. Il cielo era rimasto sempre lucido e sereno. Qualche nuvola aveva fatto la comparsa con lampi e tuoni; ma pioggia niente. Si era aggiunto il vento che aveva asciugato e spazzato via l'umidità e inaridito tutta la terra. O per il secco o per il gelo o per tutte due, fatto sta che in quell'anno 423 - 424 i raccolti erano falliti, i prodotti dei campi andati a male, e c'era in previsione lo spettro della carestia e della farne. Cominciò a mancare il pane, ed il sorgo, la polenta e le patate non c'erano ancora perché furono importati dall'America. La carestia cominciò dal pane. Per vivere non restava più altro mezzo che aiutarsi col latte, le nova e la carne macellata delle bestie. E così si fece.
Ma intanto i mesi passavano e si avvicinava il tempo quaresimale, in cui tali cibi non sì potevano usare. Il momento era prossimo in cui il Vescovo doveva dall'altare mettere sull'avviso i fedeli dell'obbligo del digiuno e dell'astinenza rigorosa. Pensò e ripensò a sé e al suo gregge e comprese essere suo dovere d'intervenire coll'autorità che gli dava il suo grado di Vescovo, per alleggerire e rendere meno penosa l'osservanza di un punto di disciplina cristiana come questo.
Lucano dunque, deciso ciò ebbe che doveva fare, l'annunzio dall'altare in una delle domeniche che precedevano l'inizio della quaresima. Annunzio che, considerate le circostanze critiche del momento, la Santa Chiesa da buona Madre dava licenza a tutti i fedeli suoi figlioli di cibarsi, durante il tempo quaresimale, anche dei prodotti delle stalle e dei pollai e di nutrirsi in buona coscienza di latte, burro e formaggio.
Insorsero degli uomini non ammaestrati dall'esperienza né commossi dalla sventura, i quali, mascherati di zelo e per difendere la disciplina della Chiesa, si schierarono contro il Vescovo Lo disapprovarono non solo, ma, quel che è peggio, per impulsi subitanei accusarono presso la Santa Sede di Roma come innovatore, come uno che si arrogava poteri e privilegi che non aveva.
«Tali accuse Lucano venne a saperle non molto tempo dopo la Quaresima di quell'anno, quando gli arrivò un appello da Roma, col quale era invitato a recarvisi per rendere ragione del proprio operato. Allontanarsi sotto l'imputazione immeritata e falsa! Dovette, per ubbidienza lasciare la sua diocesi e mettersi in viaggio, per presentarsi davanti al Papa, che era allora Celestino I.
IN VIAGGIO PER ROMA
La strada per la quale doveva mettersi, non poteva essere se non la via maestra che i Romani avevano aperto attraverso le Alpi Retiche. Si chiamava Via Claudia e scendeva dal Brennero, passando per Sabiona, Bolzano, Trento, Verona per andare a metter capo nella Via Emilia. Questa procedeva per Bologna fino a Rimini, allacciandosi ivi con la Via Flaminia, la quale, toccato Spoleto, Terni, Sutri, entrava in Roma per la Porta Flaminia, chiamata ora Porta del Popolo.
La leggenda dice che Lucano partì montato sopra una modesta cavalcatura in compagnia d'un servo.
Il Santo è circondato da segni visibili della celeste benevolenza. La natura gli obbedisce, gli animali più selvaggi riconoscono la sua potenza. Sembra quasi che Dio si presti alle necessità più capricciose dell'uomo prediletto e moltiplichi i prodigi con finzioni d'una rara bellezza e composizione. Lucano è a cavallo in compagnia del suo servo fedele. La strada attraversa fitte foreste di alberi, entra in un andirivieni di alture e arriva in vista di Spoleto. Ancora al presente la città è attorniata da boscaglie e da giogaie nereggianti, che si appoggiano ai contrafforti dirupati dell'Appannino.
I nostri due viaggiatori potevano entrare nel capoluogo, ove avrebbero trovato sicuramente alloggio comodo e conveniente. Invece si arrestarono a una certa distanza dalla città presso un'osteria che sorgeva a fianco della strada, sul margine del bosco.
Giunse nella Valle nominata Strettura, ove era una povera osteria e l'oste né biada né fieno aveva. Il Beato Lucano con segnò all'oste il cavallo e l'oste lo condusse a rifocillarsi d'erba in un prato intorno l'osteria. La moglie dell'oste era aggravata da una incurabile infermità qual'è l'idropisia. Invecchiatasi questa infelice donna nel male e, avendo speso la miglior porzione dei suoi averi senza trarne alcun profitto, aveva anche perduta affatto la speranza di guarire. L'oste, vedendo il Beato Lugano d'aspetto venerando, cominciò a pensar fra sé stesso che il vecchio fosse qualche persona sapiente, e che forse avrebbe potuto in qualche conto giovare alla moglie. Raccontagli per tanto la sua passione e travagli, e pregandogli di insegnarli un qualche rimedio onde poterla aiutare, assicurandolo che non si sarebbe mostrato ingrato.
Rispose il Beato Lucano, non essere infermità tanto grande né così terribile che Iddio non possa levarla, quel Dio che ha raddrizzato zoppi, illuminato ciechi, mondato lebbrosi, dato l'udito ai sordi, la tavella ai muti e che tanti altri ha risanato da tante infermità e che ha risuscitato anche i morti, Egli è quel Colui che ha creato il ciclo e la terra, il mare e gli abissi di niente, che fa risplendere il sole e la luna, è quello che regge e governa e mantiene ogni cosa con somma sapienza e provvidenza. Anche ad essa restituirà la salute se voi credete in Lui.
Rispose il marito, insieme con la travagliata consorte:”Il tutto noi crediamo per verbo.”
Soggiunse il Santo:” Credete voi che Gesù Cristo sia nato da Maria Vergine e che sia nato per noi peccatori, che abbia patito, che sia morto, risuscitato e asceso in cielo?”
Risposero che credevano ogni cosa. Allora il Servo del Signore Lucano, alzate al ciclo le pupille, pregò per l'inferma e poscia le diede la benedizione. La donna si levò da letto sana ed allegra come se non avesse avuto mai male di alcuna sorta, lodando e ringraziando Iddio e la beata Vergine Maria, con il Beato Lucano, per mezzo di cui aveva alla fin fine recuperato quello che sopra ogni altra cosa le premeva, e di che, dopo tanti affanni e preghiere e sospiri e rimedi e dispendio, aveano tutta perduta la speranza.
Quindi in contrassegno d'una ben dovuta gratitudine, con le proprie mani volle preparare all'Uomo di Dio un po' di cena affinché insieme con il suo servo si ristorasse. Non contenta di ciò, col consenso del marito, voleva donargli una certa quantità di denaro con molte altre promesse. Ma nulla volle Lucano anzi li esortò a non cessare mai di rendere grazie al Supremo Dator di ogni bene.
L'ORSO E LE PERNICI
Volendo pertanto il nostro buon Lucano il giorno seguente di buon mattino proseguire il viaggio, ordina al servo che se ne vada ad allestire il cavallo. Obbedisce il servo, se ne va, gira, cerca, smania affannoso, quando ecco che egli del cavallo non ritrova se non le ossa, per così dire, spolpate: era stato sbranato da una pessima fiera affamata. Il beato Lugano si affaccia a caso alla finestra e vede il servo; lo chiama a sé, gli domanda ciò che n'è del cavallo. E lui gli risponde come il cavallo è stato sbranato e strascinato qua e là per il prato e per il monte vicino.
Il Santo non si conturba, anzi vedendo girare d'intorno l'osteria un orso, pensando che quello fosse, come lo era infatti, che avesse ucciso il cavallo lo sgridò minaccioso dicendogli:”Orso, orso, tu m'hai ucciso il cavallo, non è così? Or bene ti comando da parte del vero ed eterno Iddio che tu supplisca alle veci del mio cavallo, che mi hai sbranato, e che ti sottoponga al peso e alla fatica a cui doveva soggiacere il cavallo e ricordati di essere piacevole e mansueto come era lui dimenticandoti affatto della tua natia fierezza.
Ciò detto, uscì dall'osteria insieme col servo e andò al luogo dov'era l'orso; e quello, camminando quasi pentito del misfatto, tutto piacevole ed umile, gli andò incontro a capo chino non altrimenti che se avesse avuto uso di ragione e talmente era dimesso che pareva volesse chiedere perdono del suo delitto. Allora comandò al servo che gli mettesse e sella e briglia e lo allestisse in guisa di cavalcare. Ciò fatto dal servo, vi montò sopra il Santo, munitosi però prima del segno della Santa Croce, e proseguì il viaggio con stupore e meraviglia d'ognuno che vedeva una fiera tanto selvatica e terribile di sua natura divenuta così mansueta e piacevole.
Così cavalcando, Lucano vide volare per aria al di sopra d'un campo dodici pernici alle quali comandò che a sé si presentassero, poiché d'esse aveva deciso di farne un dono al Papa. Con questa bella compagnia Lucano continuò il viaggio. Da Spoleto gli rimanevano da fare ancora 83 miglia. Il miglio romano equivaleva a 1480 metri. Passò per Terni, Narni e raggiunse Roma entrando dalla Porta Flalinia, detta ora Porta del Popolo.
DAL PAPA
Entrò, come dicevamo, dalla Porta Flaminia per recarsi al Palazzo Laterano. Ma la stanchezza del viaggio era nulla di fronte alla meraviglia che dovette aver destato nel nostro Santo la vista superba della metropoli imperiale.
Al Papa fu riferito l'arrivo in Roma del nostro Santo, portato da un orso. Udita il Papa tale meraviglia, impaziente di vederlo, lo manda a cercare e lo fa venire a sé e se lo fa sedere accanto. E come il buon vecchio, tutto umiltà e semplicità, aveva sul braccio il suo mantello, senza aspettare d'esser servito, gettò il mantello sopra un raggio di sole che entrava per una delle finestre della camera di Sua Santità e ivi stette fermo come se lo avesse gettato sopra una stanga o attaccato ad un chiodo con stupore del Sommo Pontefice e di quanti lo videro. Inchinatosi pertanto il beato Lucano e postosi ginocchioni per baciare a Sua Santità ai piedi, ecco le pernici volare per camera e presentarsi quindi a Lucano ponendosi una sul capo, e le altre d'intorno, mostrando, col loro gracchiare e coi gesti del capo e della coda e col corpo tutto, di far festa e di provare contento grande per aver trovato un tale Padrone. Il Santo allora prendendole in mano le presentò in dono al Papa e ben volentieri egli accettò.
Avendo poscia inteso il cavalcare sulla schiena d'un orso e veduto il miracolo e del mantello e delle pernici, cose tutte soprannaturali, diede al beato Lugano la benedizione, gli chiese chi era e per quale ragione era venuto a lui. Rispose il Santo: “Beatissimo Padre io sono il Vescovo di Sabiona e sono stato citato avanti il tribunale di Vostra Santità, ma non so la causa.” Allora il Papa fece chiamare a sé i suoi cancellieri comandando loro che ricercassero la causa d'una tal citazione. Questi eseguirono prontamente il comando e dichiararono che Lugano era stato querelato per aver data licenza a tutto il popolo della sua diocesi di mangiar latticini nei giorni di Vigilia e Quaresima.
A tale querela l'Uomo di Dio con grande umiltà rispose che era vero, ma che ciò aveva fatto per la grande carestia che si pativa nella sua diocesi e che non si poteva per altra via sostentare, per ciò che morivano miseramente di fame. Gliene chiese umilmente perdono e conveniente penitenza. Allora il Papa lo assolse e liberò da tal querela dandogli di nuovo la sua benedizione, baciandolo e abbracciandolo caramente, ringraziando Iddio Signore che l'aveva fatto degno di veder un tal Santo. E avendolo ritenuto presso di sé alquanti giorni, con grande consolazione lo rimandò al suo Vescovado. Partì dunque colla speranza che dispiaceri e calunnie come quelli patiti non avrebbe più a patirne. Si augurava che, da questo punto in poi, la sua vita apostolica sarebbe rimasta indisturbata e il suo ministero laborioso e quieto. E invece, non fu vero e non fu così.
LA NUOVA PERSECUZIONE
Poco dopo il suo ritorno, gli si scatenò addosso una persecuzione ancor più violenta della prima. Da chi fosse stata mossa si può in qualche maniera indovinare. Dai suoi calunniatori, prima di tutto, rimasti confusi dall'autorità del Papa e ora pieni di dispetto e di ira mal repressa. Poi, dagli invidiosi insofferenti di chi sovrastasse loro per dignità. In fine, dagli agitatori del partito ariano.
Anch'egli, come S. Ilario, dovette dire che le montagne, le foreste, e l'isolamento tra i burroni erano un asilo più sicuro per la sua vita che il restare fra le pareti della propria chiesa. Andò sopra una montagna della Valle di Fiemme. A pochi chilometri da Cavalese c'era un villaggio e questo luogo accolse l'esule Vescovo di Sabiona. In antiche carte è chiamato: Ecclesia Santi Lucani in silva. Si era nascosto nelle selve, in una grande foresta, lontana dalle abitazioni, sollevata a più di mille metri sopra la valle e circondata tutt'intorno da gioghi e da vette alpestri. Pareva che tutte queste pareti silvestri e montagnose bastassero per nasconderlo. Lucano si accorse d'esser stato scoperto. E allora prese la risoluzione di ritirarsi da quei luogo, passare sul crinale impervio delle pareti rocciose, scavalcare le muraglie divisorie delle erode e rifugiarsi nella conca agordina, in qualche vallata inospitale e impenetrabile a tutti. Lucano andò ad abitare in una valle che da lui sì chiamò e si chiama ancora Valle di S. Lucano.
LA VALLE DI S. LUCANO
La Valle è delimita a sinistra dal Piz Agner e a destra, dalle Pale di S. Lucano, e giù in fondo dalla gigantesca chiostra delle montagne di Miel.
La valle si stende per sette chilometri circa in lunghezza e per cinque o seicento metri in larghezza, sopra un fondo uniforme, vallivo e boscoso. Un grosso torrente di acqua chiara e fresca, chiamato il Tegnàs, la solca e la divide in due strisce quasi uguali.
LA MORTE DI S. LUCANO
Passano gli anni per tutti: e anche per Lucano passarono uno alla volta. La sua vita cominciò a declinare; sentì che le forze venivano meno e si preparò al grande passo. Comprese che il Signore lo rivoleva con sé spogliandolo della vita terrena per sopravvestirlo della gloria immortale del paradiso. Moriva contento di aver fatto del bene a tutti e del male a nessuno, di aver sopportato con pazienza e rassegnazione tante persecuzioni per amore di Gesù Cristo. Lasciava questo mondo con quella gioia che hanno i santi nel veder compiersi ciò che Dio vuole, sia nel vivere che nel morire. Pare che morisse e fosse seppellito nel luogo ove in quegli anni stava di casa. Le comunità cristiane di quelle Valli che meglio conoscevano le virtù, i meriti e i miracoli di Lucano, sentirono istintivamente che possedeva tutti i titoli legittimi a un culto pubblico. Infatti lo onorarono, come si onora un uomo santo, visitando la sua tomba e raccomandandosi alla sua intercessione presso il Signore Iddio, per essere preservati dai mali e dalle disgrazie.
LA TRASLAZIONE DEL CORPO
In tutti i luoghi ove ricorre la festa di S. Lucano si suole celebrare al 20 luglio, come giorno della sua morte. I Bollandisti tuttavia inclinerebbero a far coincidere la festa non col giorno della morte, ma con quello della traslazione del suo corpo dalia Valle in cui era sepolto, alla città centrale di Belluno. Dati sicuri che ci aiutino a sapere in che secolo almeno fu fatta detta traslazione non ne abbiamo. Pare certo però che fosse proibito dalle leggi romane di toccare le tombe e i sepolcri. Solo per circostanze eccezionali si spiegano le traslazioni di Santi avvenute in Italia e a Roma prima del secolo VII. La tradizione racconta che, arrivato il corteo verso l'estremità della conca agordina, in un luogo chiamato al presente Pian de Crose e segnato da un Capitel, il feretro che conteneva il corpo del Santo cominciò a pesare in un modo tanto straordinario che si dovette posare a terra. Né ci fu più verso di smuoverlo per quante braccia d'uomini fossero intervenuti e forza di buoi e di cavalli chiamata in aiuto. Tutti si misero in ginocchio pregando ad alta voce. Ed ecco che la cassa si scoperchia e il Santo sporge un braccio. Istintivamente compresero che voleva rimanesse questa parte del corpo nel luogo del suo sepolcro primitivo. A S. Lucano d' Auronzo il 20 luglio convenivano in processione i fedeli del Comelico e di Vigo e la chiesa di S. Lucano doveva dare «da disnar» a spese sue a tutti.
Sabiona è una località sopra Chiusa d'Isarco, in provincia di Roteano, prima del Mille era sede vescovile, sede che nel 994 venne trasferita a Bressanone. Lassù, verso il 400 ci. C. giunse Lucano, vescovo di Sabiona.
Il nome Lucano deriva dall'antico latino «lucare» che significa splendere. Dal verbo cavò poi l'aggettivo «antelucanus», che Dante italianizzò chiamando l'albore dell'aurora «splendore antelucano».
Anche il significato del nome sta bene per ogni verso. Lucano è «colui che porta la luce o ha la luce con sé». Nome fatidico, ricco di promesse e di presagi per la missione che il nostro Santo doveva compiere portando la prima luce del Vangelo in mezzo a popoli che ancora sedevano nelle tenebre dell'errore e dell'idolatria.
Il DIGIUNO QUARESIMALE
I Vescovi entrando in un paese nuovo con lo scopo di evangelizzarlo, non si limitava no alle verità della fede insegnandole solamente, ma richiedevano dai fedeli che le mettessero in opera praticando la legge di Cristo e osservando le obbligazioni che avevano contratto entrando nel grembo della Madre Chiesa. «Una delle più importanti era quella del digiuno quaresimale. Non v'è dubbio che, al tempo di S. Lucano, la quaresima venisse scrupolosamente osservata in tutto l'oriente e in tutta l'Italia, incominciando da Roma. Il digiuno quaresimale non si poteva rompere prima del calare del sole. Esso consisteva in pane, erbe condite, frutta e altri prodotti dei campi e degli alberi. La carne, le nova, i latticini erano severamente proibiti.
Attorno al 1200 le alte valli Tridentine furono colpite da una spaventevole carestia, causata, a detta della tradizione, da una lunga e ostinata siccità. Il cielo era rimasto sempre lucido e sereno. Qualche nuvola aveva fatto la comparsa con lampi e tuoni; ma pioggia niente. Si era aggiunto il vento che aveva asciugato e spazzato via l'umidità e inaridito tutta la terra. O per il secco o per il gelo o per tutte due, fatto sta che in quell'anno 423 - 424 i raccolti erano falliti, i prodotti dei campi andati a male, e c'era in previsione lo spettro della carestia e della farne. Cominciò a mancare il pane, ed il sorgo, la polenta e le patate non c'erano ancora perché furono importati dall'America. La carestia cominciò dal pane. Per vivere non restava più altro mezzo che aiutarsi col latte, le nova e la carne macellata delle bestie. E così si fece.
Ma intanto i mesi passavano e si avvicinava il tempo quaresimale, in cui tali cibi non sì potevano usare. Il momento era prossimo in cui il Vescovo doveva dall'altare mettere sull'avviso i fedeli dell'obbligo del digiuno e dell'astinenza rigorosa. Pensò e ripensò a sé e al suo gregge e comprese essere suo dovere d'intervenire coll'autorità che gli dava il suo grado di Vescovo, per alleggerire e rendere meno penosa l'osservanza di un punto di disciplina cristiana come questo.
Lucano dunque, deciso ciò ebbe che doveva fare, l'annunzio dall'altare in una delle domeniche che precedevano l'inizio della quaresima. Annunzio che, considerate le circostanze critiche del momento, la Santa Chiesa da buona Madre dava licenza a tutti i fedeli suoi figlioli di cibarsi, durante il tempo quaresimale, anche dei prodotti delle stalle e dei pollai e di nutrirsi in buona coscienza di latte, burro e formaggio.
Insorsero degli uomini non ammaestrati dall'esperienza né commossi dalla sventura, i quali, mascherati di zelo e per difendere la disciplina della Chiesa, si schierarono contro il Vescovo Lo disapprovarono non solo, ma, quel che è peggio, per impulsi subitanei accusarono presso la Santa Sede di Roma come innovatore, come uno che si arrogava poteri e privilegi che non aveva.
«Tali accuse Lucano venne a saperle non molto tempo dopo la Quaresima di quell'anno, quando gli arrivò un appello da Roma, col quale era invitato a recarvisi per rendere ragione del proprio operato. Allontanarsi sotto l'imputazione immeritata e falsa! Dovette, per ubbidienza lasciare la sua diocesi e mettersi in viaggio, per presentarsi davanti al Papa, che era allora Celestino I.
IN VIAGGIO PER ROMA
La strada per la quale doveva mettersi, non poteva essere se non la via maestra che i Romani avevano aperto attraverso le Alpi Retiche. Si chiamava Via Claudia e scendeva dal Brennero, passando per Sabiona, Bolzano, Trento, Verona per andare a metter capo nella Via Emilia. Questa procedeva per Bologna fino a Rimini, allacciandosi ivi con la Via Flaminia, la quale, toccato Spoleto, Terni, Sutri, entrava in Roma per la Porta Flaminia, chiamata ora Porta del Popolo.
La leggenda dice che Lucano partì montato sopra una modesta cavalcatura in compagnia d'un servo.
Il Santo è circondato da segni visibili della celeste benevolenza. La natura gli obbedisce, gli animali più selvaggi riconoscono la sua potenza. Sembra quasi che Dio si presti alle necessità più capricciose dell'uomo prediletto e moltiplichi i prodigi con finzioni d'una rara bellezza e composizione. Lucano è a cavallo in compagnia del suo servo fedele. La strada attraversa fitte foreste di alberi, entra in un andirivieni di alture e arriva in vista di Spoleto. Ancora al presente la città è attorniata da boscaglie e da giogaie nereggianti, che si appoggiano ai contrafforti dirupati dell'Appannino.
I nostri due viaggiatori potevano entrare nel capoluogo, ove avrebbero trovato sicuramente alloggio comodo e conveniente. Invece si arrestarono a una certa distanza dalla città presso un'osteria che sorgeva a fianco della strada, sul margine del bosco.
Giunse nella Valle nominata Strettura, ove era una povera osteria e l'oste né biada né fieno aveva. Il Beato Lucano con segnò all'oste il cavallo e l'oste lo condusse a rifocillarsi d'erba in un prato intorno l'osteria. La moglie dell'oste era aggravata da una incurabile infermità qual'è l'idropisia. Invecchiatasi questa infelice donna nel male e, avendo speso la miglior porzione dei suoi averi senza trarne alcun profitto, aveva anche perduta affatto la speranza di guarire. L'oste, vedendo il Beato Lugano d'aspetto venerando, cominciò a pensar fra sé stesso che il vecchio fosse qualche persona sapiente, e che forse avrebbe potuto in qualche conto giovare alla moglie. Raccontagli per tanto la sua passione e travagli, e pregandogli di insegnarli un qualche rimedio onde poterla aiutare, assicurandolo che non si sarebbe mostrato ingrato.
Rispose il Beato Lucano, non essere infermità tanto grande né così terribile che Iddio non possa levarla, quel Dio che ha raddrizzato zoppi, illuminato ciechi, mondato lebbrosi, dato l'udito ai sordi, la tavella ai muti e che tanti altri ha risanato da tante infermità e che ha risuscitato anche i morti, Egli è quel Colui che ha creato il ciclo e la terra, il mare e gli abissi di niente, che fa risplendere il sole e la luna, è quello che regge e governa e mantiene ogni cosa con somma sapienza e provvidenza. Anche ad essa restituirà la salute se voi credete in Lui.
Rispose il marito, insieme con la travagliata consorte:”Il tutto noi crediamo per verbo.”
Soggiunse il Santo:” Credete voi che Gesù Cristo sia nato da Maria Vergine e che sia nato per noi peccatori, che abbia patito, che sia morto, risuscitato e asceso in cielo?”
Risposero che credevano ogni cosa. Allora il Servo del Signore Lucano, alzate al ciclo le pupille, pregò per l'inferma e poscia le diede la benedizione. La donna si levò da letto sana ed allegra come se non avesse avuto mai male di alcuna sorta, lodando e ringraziando Iddio e la beata Vergine Maria, con il Beato Lucano, per mezzo di cui aveva alla fin fine recuperato quello che sopra ogni altra cosa le premeva, e di che, dopo tanti affanni e preghiere e sospiri e rimedi e dispendio, aveano tutta perduta la speranza.
Quindi in contrassegno d'una ben dovuta gratitudine, con le proprie mani volle preparare all'Uomo di Dio un po' di cena affinché insieme con il suo servo si ristorasse. Non contenta di ciò, col consenso del marito, voleva donargli una certa quantità di denaro con molte altre promesse. Ma nulla volle Lucano anzi li esortò a non cessare mai di rendere grazie al Supremo Dator di ogni bene.
L'ORSO E LE PERNICI
Volendo pertanto il nostro buon Lucano il giorno seguente di buon mattino proseguire il viaggio, ordina al servo che se ne vada ad allestire il cavallo. Obbedisce il servo, se ne va, gira, cerca, smania affannoso, quando ecco che egli del cavallo non ritrova se non le ossa, per così dire, spolpate: era stato sbranato da una pessima fiera affamata. Il beato Lugano si affaccia a caso alla finestra e vede il servo; lo chiama a sé, gli domanda ciò che n'è del cavallo. E lui gli risponde come il cavallo è stato sbranato e strascinato qua e là per il prato e per il monte vicino.
Il Santo non si conturba, anzi vedendo girare d'intorno l'osteria un orso, pensando che quello fosse, come lo era infatti, che avesse ucciso il cavallo lo sgridò minaccioso dicendogli:”Orso, orso, tu m'hai ucciso il cavallo, non è così? Or bene ti comando da parte del vero ed eterno Iddio che tu supplisca alle veci del mio cavallo, che mi hai sbranato, e che ti sottoponga al peso e alla fatica a cui doveva soggiacere il cavallo e ricordati di essere piacevole e mansueto come era lui dimenticandoti affatto della tua natia fierezza.
Ciò detto, uscì dall'osteria insieme col servo e andò al luogo dov'era l'orso; e quello, camminando quasi pentito del misfatto, tutto piacevole ed umile, gli andò incontro a capo chino non altrimenti che se avesse avuto uso di ragione e talmente era dimesso che pareva volesse chiedere perdono del suo delitto. Allora comandò al servo che gli mettesse e sella e briglia e lo allestisse in guisa di cavalcare. Ciò fatto dal servo, vi montò sopra il Santo, munitosi però prima del segno della Santa Croce, e proseguì il viaggio con stupore e meraviglia d'ognuno che vedeva una fiera tanto selvatica e terribile di sua natura divenuta così mansueta e piacevole.
Così cavalcando, Lucano vide volare per aria al di sopra d'un campo dodici pernici alle quali comandò che a sé si presentassero, poiché d'esse aveva deciso di farne un dono al Papa. Con questa bella compagnia Lucano continuò il viaggio. Da Spoleto gli rimanevano da fare ancora 83 miglia. Il miglio romano equivaleva a 1480 metri. Passò per Terni, Narni e raggiunse Roma entrando dalla Porta Flalinia, detta ora Porta del Popolo.
DAL PAPA
Entrò, come dicevamo, dalla Porta Flaminia per recarsi al Palazzo Laterano. Ma la stanchezza del viaggio era nulla di fronte alla meraviglia che dovette aver destato nel nostro Santo la vista superba della metropoli imperiale.
Al Papa fu riferito l'arrivo in Roma del nostro Santo, portato da un orso. Udita il Papa tale meraviglia, impaziente di vederlo, lo manda a cercare e lo fa venire a sé e se lo fa sedere accanto. E come il buon vecchio, tutto umiltà e semplicità, aveva sul braccio il suo mantello, senza aspettare d'esser servito, gettò il mantello sopra un raggio di sole che entrava per una delle finestre della camera di Sua Santità e ivi stette fermo come se lo avesse gettato sopra una stanga o attaccato ad un chiodo con stupore del Sommo Pontefice e di quanti lo videro. Inchinatosi pertanto il beato Lucano e postosi ginocchioni per baciare a Sua Santità ai piedi, ecco le pernici volare per camera e presentarsi quindi a Lucano ponendosi una sul capo, e le altre d'intorno, mostrando, col loro gracchiare e coi gesti del capo e della coda e col corpo tutto, di far festa e di provare contento grande per aver trovato un tale Padrone. Il Santo allora prendendole in mano le presentò in dono al Papa e ben volentieri egli accettò.
Avendo poscia inteso il cavalcare sulla schiena d'un orso e veduto il miracolo e del mantello e delle pernici, cose tutte soprannaturali, diede al beato Lugano la benedizione, gli chiese chi era e per quale ragione era venuto a lui. Rispose il Santo: “Beatissimo Padre io sono il Vescovo di Sabiona e sono stato citato avanti il tribunale di Vostra Santità, ma non so la causa.” Allora il Papa fece chiamare a sé i suoi cancellieri comandando loro che ricercassero la causa d'una tal citazione. Questi eseguirono prontamente il comando e dichiararono che Lugano era stato querelato per aver data licenza a tutto il popolo della sua diocesi di mangiar latticini nei giorni di Vigilia e Quaresima.
A tale querela l'Uomo di Dio con grande umiltà rispose che era vero, ma che ciò aveva fatto per la grande carestia che si pativa nella sua diocesi e che non si poteva per altra via sostentare, per ciò che morivano miseramente di fame. Gliene chiese umilmente perdono e conveniente penitenza. Allora il Papa lo assolse e liberò da tal querela dandogli di nuovo la sua benedizione, baciandolo e abbracciandolo caramente, ringraziando Iddio Signore che l'aveva fatto degno di veder un tal Santo. E avendolo ritenuto presso di sé alquanti giorni, con grande consolazione lo rimandò al suo Vescovado. Partì dunque colla speranza che dispiaceri e calunnie come quelli patiti non avrebbe più a patirne. Si augurava che, da questo punto in poi, la sua vita apostolica sarebbe rimasta indisturbata e il suo ministero laborioso e quieto. E invece, non fu vero e non fu così.
LA NUOVA PERSECUZIONE
Poco dopo il suo ritorno, gli si scatenò addosso una persecuzione ancor più violenta della prima. Da chi fosse stata mossa si può in qualche maniera indovinare. Dai suoi calunniatori, prima di tutto, rimasti confusi dall'autorità del Papa e ora pieni di dispetto e di ira mal repressa. Poi, dagli invidiosi insofferenti di chi sovrastasse loro per dignità. In fine, dagli agitatori del partito ariano.
Anch'egli, come S. Ilario, dovette dire che le montagne, le foreste, e l'isolamento tra i burroni erano un asilo più sicuro per la sua vita che il restare fra le pareti della propria chiesa. Andò sopra una montagna della Valle di Fiemme. A pochi chilometri da Cavalese c'era un villaggio e questo luogo accolse l'esule Vescovo di Sabiona. In antiche carte è chiamato: Ecclesia Santi Lucani in silva. Si era nascosto nelle selve, in una grande foresta, lontana dalle abitazioni, sollevata a più di mille metri sopra la valle e circondata tutt'intorno da gioghi e da vette alpestri. Pareva che tutte queste pareti silvestri e montagnose bastassero per nasconderlo. Lucano si accorse d'esser stato scoperto. E allora prese la risoluzione di ritirarsi da quei luogo, passare sul crinale impervio delle pareti rocciose, scavalcare le muraglie divisorie delle erode e rifugiarsi nella conca agordina, in qualche vallata inospitale e impenetrabile a tutti. Lucano andò ad abitare in una valle che da lui sì chiamò e si chiama ancora Valle di S. Lucano.
LA VALLE DI S. LUCANO
La Valle è delimita a sinistra dal Piz Agner e a destra, dalle Pale di S. Lucano, e giù in fondo dalla gigantesca chiostra delle montagne di Miel.
La valle si stende per sette chilometri circa in lunghezza e per cinque o seicento metri in larghezza, sopra un fondo uniforme, vallivo e boscoso. Un grosso torrente di acqua chiara e fresca, chiamato il Tegnàs, la solca e la divide in due strisce quasi uguali.
LA MORTE DI S. LUCANO
Passano gli anni per tutti: e anche per Lucano passarono uno alla volta. La sua vita cominciò a declinare; sentì che le forze venivano meno e si preparò al grande passo. Comprese che il Signore lo rivoleva con sé spogliandolo della vita terrena per sopravvestirlo della gloria immortale del paradiso. Moriva contento di aver fatto del bene a tutti e del male a nessuno, di aver sopportato con pazienza e rassegnazione tante persecuzioni per amore di Gesù Cristo. Lasciava questo mondo con quella gioia che hanno i santi nel veder compiersi ciò che Dio vuole, sia nel vivere che nel morire. Pare che morisse e fosse seppellito nel luogo ove in quegli anni stava di casa. Le comunità cristiane di quelle Valli che meglio conoscevano le virtù, i meriti e i miracoli di Lucano, sentirono istintivamente che possedeva tutti i titoli legittimi a un culto pubblico. Infatti lo onorarono, come si onora un uomo santo, visitando la sua tomba e raccomandandosi alla sua intercessione presso il Signore Iddio, per essere preservati dai mali e dalle disgrazie.
LA TRASLAZIONE DEL CORPO
In tutti i luoghi ove ricorre la festa di S. Lucano si suole celebrare al 20 luglio, come giorno della sua morte. I Bollandisti tuttavia inclinerebbero a far coincidere la festa non col giorno della morte, ma con quello della traslazione del suo corpo dalia Valle in cui era sepolto, alla città centrale di Belluno. Dati sicuri che ci aiutino a sapere in che secolo almeno fu fatta detta traslazione non ne abbiamo. Pare certo però che fosse proibito dalle leggi romane di toccare le tombe e i sepolcri. Solo per circostanze eccezionali si spiegano le traslazioni di Santi avvenute in Italia e a Roma prima del secolo VII. La tradizione racconta che, arrivato il corteo verso l'estremità della conca agordina, in un luogo chiamato al presente Pian de Crose e segnato da un Capitel, il feretro che conteneva il corpo del Santo cominciò a pesare in un modo tanto straordinario che si dovette posare a terra. Né ci fu più verso di smuoverlo per quante braccia d'uomini fossero intervenuti e forza di buoi e di cavalli chiamata in aiuto. Tutti si misero in ginocchio pregando ad alta voce. Ed ecco che la cassa si scoperchia e il Santo sporge un braccio. Istintivamente compresero che voleva rimanesse questa parte del corpo nel luogo del suo sepolcro primitivo. A S. Lucano d' Auronzo il 20 luglio convenivano in processione i fedeli del Comelico e di Vigo e la chiesa di S. Lucano doveva dare «da disnar» a spese sue a tutti.